Premessa
Ho registrato questi tre brani un anno e mezzo fa, durante l’autunno 2018 e l’inverno 2019, interamente su un registratore analogico a quattro piste (Yamaha MT3X) senza alcuna elaborazione digitale. Li ho fatti mixare e masterizzare subito dopo, solo per me, e poi li ho messi in un cassetto. Poter lavorare in solitudine, nel buio di un salone mentre fuori vigeva il silenzio della notte, senza schermi di cellulari e computer a distrarmi, semplicemente cliccando “rec” o riavvolgendo il nastro per riascoltare, mi ha portato a concentrarmi esclusivamente sul suono che stavo cercando dentro di me, e non sul mezzo e sulle modalità per ottenerlo. Non c’era nessuna schermata da consultare e nessuna luce fredda a illuminare le mie mani e il mio volto, solo un suono e una vibrazione da percepire nel buio più assoluto.
Ogni tanto mi capitava di ritirare fuori dal cassetto quelle tracce, e ad ogni ascolto sentivo che quel suono e quella vibrazione mi stavano accompagnando nel corso della mia vita, e continuavano a parlarmi, a comunicarmi qualcosa. Sussurrandomi cose nuove, talvolta diverse in base al momento in cui le affrontavo, talvolta confermando sensazioni e ricordi già provati. Ho sentito quindi il bisogno di iniziare a condividerle con amici e ascoltatori esterni che mi hanno raccontato le loro sensazioni, e ho capito che queste vibrazioni non volevano risuonare solo dentro di me. Era dunque arrivato il momento di lasciarle andare.
Il pallino di registrare un disco strumentale mi era stato messo in testa da Gianluca Giusti (mio manager) quando, dopo aver pubblicato il mio primo disco solista (di canzoni) ormai due anni fa, mi consigliò di non buttarmi subito sulla composizione di nuovi brani cantati, ma di provare a sperimentare con qualcosa di diverso dalle mie solite abitudini espressive. Per creare una frattura tra il passato e il presente, per stimolare muscoli mai utilizzati, per vedere semplicemente cosa ne sarebbe venuto fuori.
Attualmente sono al lavoro sul proseguimento di questa ricerca sonora interiore.
Qui sotto seguono gli stati d’animo che hanno generato questa musica e le riflessioni che ne sono conseguite.
Grazie della lettura, ma soprattutto grazie dell’Ascolto.
Veronetta, 3 marzo 2020
Io credo che ognuno di noi sia alla ricerca costante di armonia. Armonia con noi stessi, con l’altro, con la natura, con il mondo, con le tecnologie, con il bene e con il male. Credo anche che questa ricerca non abbia fine. L’Armonia è presente in ogni cosa: difficile raggiungerla, impossibile mantenerla all’infinito. Altrimenti sopraggiungerebbe la stasi, la Morte assoluta. L’Armonia è vibrazione perfetta e irripetibile. L’Armonia non è solo un principio fisico e musicale, ma un ideale spirituale, creativo, artistico ed emotivo.
In questi mesi di distacco dal mio modo di vivere precedente, allontanandomi dal mio villaggio sono salito su una montagna per poterlo osservare meglio. E ho capito che tutto quello che stavo ricercando, dalle piccole azioni quotidiane fino alle grandi scelte, era Armonia, un perfetto equilibrio tra le parti, qualunque esse fossero. Se l’armonia provoca un senso di benessere, che noi tutti ricerchiamo più o meno consciamente, è anche vero che essa stessa necessita di un momento magico e inspiegabile di equilibrio per potersi manifestare. È dunque l’Armonia che genera un senso di benessere ed equilibrio, o è il perfetto equilibrio tra le parti che diventa Armonia? Io credo che l’Armonia, innata e onnipresente in noi stessi come in musica, necessiti semplicemente di essere lasciata libera, per potersi librare e sprigionare. Ma il nostro compito, il più arduo possibile, è quello di creare le condizioni affinché essa stessa possa manifestarsi. E ogni volta che ci sembrerà di averla raggiunta, anche solo per un istante, immediatamente qualche cosa cambierà, la si perderà e bisognerà ricominciare la ricerca. A volte basterà un piccolo aggiustamento per riprendere l’equilibrio, altre volte dovremo metterci in discussione stravolgendo un’intera esistenza. E solo così ci ritroveremo veramente a Vivere.
ARMONIA CREATRICE
(3 brani, 41 minuti)
1 — Il Movimento Originario (10’ 29”)2 — Armonia Creatrice (24’ 11”)3 — Frammenti Con Traiettorie Proprie (5’ 35”)
Composto e suonato da Tobia Poltronieri.
Il brano Il Movimento Originario è stato registrato da Tobia Poltronieri il 23 ottobre 2018.Il brano Armonia Creatrice è stato registrato da Tobia Poltronieri il 28 ottobre 2018.Il brano Frammenti Con Traiettorie Proprie è stato registrato da Francesco Ambrosini il 18 dicembre 2018.Mixato e masterizzato da Francesco Ambrosini e Tobia Poltronieri tra dicembre 2018 e gennaio 2019.
foto di Pietro Poltronieri
Nell’aprile 2018 ho smesso completamente di suonare e comporre con il mio strumento, ossia la chitarra, dopo più di dieci anni in cui quotidianamente ho passato almeno qualche ora tra le sue corde e le sue vibrazioni. Per smettere intendo che ho sentito un bisogno naturale di interrompere quella lunga ricerca, quel dolce perdersi tra suoni e movimenti che spesso non potevo controllare, da cui talvolta mi destavo come se non fossi io il responsabile di quella musica. Poi certamente da allora per portare avanti la mia attività concertistica e le prove ho comunque dovuto continuare a suonare dal vivo, ma quello lo definisco serenamente “lavoro” e, per quanto in esso vi sia pur sempre presente passione e dedizione, è parte di una “ricerca” diversa, meno interiore e riflessiva, e più influenzata dalle relazioni con l’esterno, dall’esecuzione di musica già esistente, a partire dai musicisti con cui mi devo confrontare, passando attraverso il contesto in cui ci trovavamo (nuovi luoghi, ambienti e situazioni) per arrivare naturalmente fino al pubblico, elemento fondamentale per l’Arte intesa come confronto. Insomma, quella era un’altra ricerca.
Mi ritrovai così con un sacco di tempo libero. Se prima, con un gesto naturale che diventava sempre più irrazionale, in un qualunque momento di distrazione/ispirazione tra una tazza di tè e la lettura di una mail avrei preso in mano la chitarra senza pensare, e avrei cominciato a suonare ininterrottamente fino a che un campanello o un qualunque fattore esterno sopraggiunto ore dopo mi avrebbe interrotto, ora il mio quotidiano si era trasformato. Ogni mattina mi svegliavo, bevevo un bicchiere di acqua calda e meditavo, nell’accezione orientale, ossia cercando di tenere la mente sgombra dai pensieri, libera da ogni tipo di riflessione. La mattina appena svegli era più facile, ma in ogni caso per me, allora come ora, difficilissimo, abituato com’ero alla concezione occidentale di meditare inteso come momento per riflettere, elaborare un ragionamento, pensare a qualcosa, qualunque essa fosse, dall’ultimo fatto che mi aveva colpito il giorno prima fino al prurito sul mignolo di quell’istante. E poi finalmente, leggevo. A mente fresca, dopo questo momento (o meglio, tentativo) di meditazione, prima ancora di rientrare in contatto con il mondo esterno (naturalmente evitando l’accensione di qualunque apparecchio tecnologico), mi dedicavo alla lettura di almeno una ventina di pagine, per poi accingermi a cominciare la giornata “standard”.
La lettura mi ha salvato. Dopo anni in cui progressivamente avevo abbandonato lentamente i libri, rendendomi sempre più difficile mantenere la concentrazione su una pagina le rare volte in cui mi ci dedicavo, distratta com’era la mia mente da milioni di preoccupazioni e programmi di cose da fare, magicamente mi era tornata la curiosità di un tempo, una fame insaziabile di conoscenza. Ora la mia giornata era scandita dalla lettura, i miei viaggi dai libri che avevo scelto di portare con me, i tragitti da un concerto e l’altro dalle pagine che sfogliavo accanto al finestrino, e l’attesa in camerino tra il soundcheck e la nostra esibizione non era più un momento morto e inutile da riempire con compulsive occhiate distratte allo smartphone. Dopo mesi, giunta la sera, mi accorgevo che non dovevo più forzarmi a meditare e a leggere almeno un certo numero di pagine ogni giorno, succedeva e basta. Avevo trovato una nuova chiave, che aveva aperto cancelli della mia mente e del mio cuore che non avevo neanche mai intravisto da lontano.
Una sera di fine ottobre dello stesso anno, tornato da poco a Verona dopo un lungo viaggio in giro per l’Italia, rientrai a casa sfinito dall’ennesima discussione con i compagni del progetto musicale di cui faccio parte. Quel tipo di relazione malsana, assieme all’esaurimento di energie dopo anni di ritmi forsennati per mantenere vivi i miei progetti artistici, erano i motivi per cui mesi prima avevo messo a riposare la mia amata chitarra. Non che allora mi mancasse l’ispirazione, anzi. È solo che non mi piaceva cosa mi stava ispirando. Quello che riversavo nella musica era frustrazione, voglia di essere da qualche altra parte, desiderio di purificazione e cambiamento di prospettiva. E se, dopo anni di musica come autoterapia, avessi provato invece a risolvere direttamente il problema alla radice, per evitare che la musica rimanesse per me solo una medicina, il semplice specchio di un malessere? Quando prendevo in mano la chitarra capivo che non stavo risolvendo veramente i miei problemi, ma li stavo esorcizzando, il che è naturalmente potentissimo e meraviglioso, e ha tramutato tantissima energia, spesso negativa, in espressione artistica. Solo che ero arrivato a un punto in cui ero scontento di quella espressione artistica, mi stavo ripetendo, non stavo veramente andando a fondo nelle cose, dentro me stesso. Ecco perché avevo dovuto prendere le distanze dalla mia chitarra, dalla composizione, dall’espressione di quello che avevo dentro. Per vedere meglio il proprio villaggio non bisogna forse allontanarsi e salire sulla montagna?
Quella sera di ottobre, dopo la discussione con i miei compagni di musica, le ore di meditazione, le decine di libri che erano passati dalla mia mente e le splendide esperienze vissute in lungo e in largo in quei mesi non riuscivano a rendermi sereno. Senza pensarci presi in mano la chitarra acustica, impolverata, che mi aveva guardato ogni notte davanti al mio letto. Feci scorrere una lunga pennata a corde libere e si sprigionò un’armonia assolutamente inaspettata, aperta e indefinibile. Che accordatura era mai quella? Non riuscivo a capire, certamente non era un’accordatura standard. Chissà come e perché l’avevo accordata così sei mesi prima, forse più. Non me lo sapevo spiegare, ma in quel momento non mi interessava assolutamente. Quel suono mi aveva letteralmente attraversato facendomi vibrare dal cranio alla punta dei piedi. Non persi un secondo: accesi il registratore a quattro piste e registrai questo disco.